La storia di Carlos, immigrato con l'appendicite

Vi ricordate la storia di Carlos, boliviano che aveva rischiato la vita per un'appendicite, per paura di essere denunciato? Alessio ce ne aveva parlato un bel po' di tempo fa. Scopriamo che cosa è accaduto fino ad oggi con quest'articolo di Anna Ghezzi.

PAVIA. Era entrato al San Matteo con la febbre e mal di pancia, dopo che per giorni si era curato con gli antidolorifici per paura di essere denunciato. E in ospedale - al Niguarda - è ricoverato ancora adesso. Carlos, il 22enne boliviano, dopo oltre 10 interventi chirurgici e l’asportazione di parte dell’intestino, ieri è uscito dal reparto di terapia intensiva del Niguarda. E finalmente è tornato in piedi, ha camminato, sorretto dalla mamma e dagli infermieri, per la sua stanza d’ospedale, ormai la sua seconda casa, e ha mosso qualche passo. «I medici sono soddisfatti - racconta Vanna Jahier, della cooperativa Contatto, che da un anno accudisce Carlos e sua mamma Flor, seguendoli nei pellegrinaggi medici -. Ma non è possibile che per un’appendicite mal curata e la paura di una denuncia un ragazzo, figlio di immigrati regolari, senza permesso di soggiorno per un disguido burocratico legato al compimento della maggiore età durante la procedura per il ricongiungimento familiare, si trovi in questa situazione: gli sono rimasti solo 70 centimetri di intestino, ha perso un anno di vita». Ora i primi risultati. La ferita all’addome, dopo 12 mesi, sembra non faccia più infezione. «Da due settimane Carlos inghiotte un po’ d’acqua e succhia qualche gelatina, anche se resta ancora da chiudere uno dei “buchi” del duodeno» racconta la mamma, sollevata. Dopo un anno nel letto, con la pancia aperta, senza poter inghiottire nulla, Carlos pesa 35 chili, ed è stato più volte colto dalla depressione. Ha passato due mesi in coma, dopo sei mesi è stato trasferito al Niguarda grazie all’interessamento del direttore del Trauma Center, Osvaldo Chiara, ora è uscito dalla terapia intensiva. Flor, la mamma, ha lasciato il posto fisso per andare da lui ogni giorno, la sorella si è iscritta al Cfp e impara una professione, il papà lavora vicino a Milano e, quando può, va anche lui al capezzale del figlio. I medici del San Matteo, dove il ragazzo nello scorso marzo si era recato due volte prima di essere ricoverato e poi operato le prime volte, lo avevano dato per spacciato. Lui, aiutato dal dottor Osvaldo Chiara del Niguarda, che si è preso la responsabilità di operarlo nuovamente quando tutto sembrava perduto, ha resistito. E ora il suo intestino, rimesso insieme con sette suture, misura 70 centimetri ma, se tutto continua come deve, Carlos potrebbe riavere la sua vita: a casa gli hanno già preparato una stanza. «E’ accaduto tutto per colpa della paura di essere denunciati, quella che ha allontanato per diverso tempo gli stranieri dagli ambulatori - ribadisce Vanna Jahier -. Una famiglia è stata sconvolta, e lo stato italiano ha speso tantissimo in un anno di cure e interventi per salvarlo da quella che doveva essere una banale appendicectomia». Per aiutare Carlos e la sua famiglia si può effettuare un versamento intestato alla mamma, Valencia Guillelm Flor De Maria, codice iban it15d0504811321000000011515 o scrivergli a lamongolfiera@progettocontatto.it.

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