Rischiare la vita per un'appendicite si può? Si, in Italia. Il boliviano Carlos, da sette mesi è sotto i ferri, con lunghi periodi di coma e di coscienza.
Patiamo dall'inizio: mentre per i reati finanziari, la corruzione e l'evasione delle tasse l'attuale governo invita implicitamente ed esplicitamente all'illegalità, il governo stesso ha deciso di utilizzare la linea del pugno duro con la clandestinità. Tra le norme che permetterebbero di combattere il fenomeno della clandestinità, ce n'è una particolarmente spietata e pericolosa per tutti. Nel caso un clandestino si presenti o venga ricoverato in ospedale, i medici sono obbligati a denunciare la clandestinità del paziente alle forze dell'ordine. Le conseguenze sono più d'una. I clandestini, per paura di essere denunciati, non si presentano in ospedale e questo comporta indubbiamente un peggioramento delle condizioni di salute, fino, magari, a mettere a repentaglio la vita stessa di queste persone. L'aggravarsi delle condizioni di salute dei clandestini potrebbero avere ripercussioni enormi non solo sulle persone inizialmente malate. Immaginiamo per esempio che non vengano curati dei casi di tubercolosi o colera: il rischio epidemia è enorme. Per ultimo, visto che è un argomento che conta poco di questi tempi, c'è la questione etica: mettere delle persone in condizione di non farsi curare è un atto disumano.
Tutte queste non sono solo questioni moralistiche. Un ragazzo boliviano ventenne che vive nel pavese, a marzo ha cominciato a sentirsi male a causa di un'appendicite. Dato che era in attesa del permesso di soggiorno ed aveva paura di essere denunciato e di perdersi l'opportunità di restare in Italia, ha deciso di non andare in ospedale. Le sue condizioni si sono aggravate e quando è stato ricoverato era in pericolo di morte. Dato il ritardo, non è stato possibile curarlo efficacemente e dal 28 marzo (28 marzo! oggi è il 24 ottobre) è in ospedale, sottoposto a numerosissime operazioni, tra periodi di ripresa e ricadute improvvise. Vi riporto l'ultimo articolo che parla di Carlos, uscito sulla Provincia Pavese dieci giorni fa.
Alessio Meyer
PAVIA. Non è più al San Matteo Carlos, il ventiduenne boliviano che questa primavera, quando si era diffusa la psicosi della denuncia dei clandestini da parte dei medici, aveva tardato a farsi ricoverare per paura. Le complicazioni di quella appendicite lo tengono inchiodato al letto dal 28 marzo. Ma venerdì è arrivato il trasferimento al Niguarda di Milano, dove sarà in cura dal professor Osvaldo Chiara: «Il percorso di cura di Carlos prevedeva il trasferimento presso Niguarda proprio in ottobre per iniziare il programma chirurgico di ricostruzione dell’intestino», spiega il dottore. L’incontro risale a maggio, quando al San Matteo i medici avevano detto che per salvarlo ci voleva un miracolo e i genitori del ragazzo avevano lanciato un appello, sostenuti dalla Cooperativa Con-Tatto che è sempre stata loro vicina in questi mesi. Chiara era venuto al policlinico e aveva diretto un intervento - con l’uso di raggi x - su un intestino operato ormai più di 10 volte.
Anna Ghezzi, la Provincia Pavese, 14 Ottobre 2009
immagine dal sito: cambiamopianeta.wordpress.com
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